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Ode sghemba per la vecchia Europa │Lucio Zinna

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Wordle: ode sghemba per la vecchia europa di zinna
Ode sghemba per la vecchia Europa


Questo sciame di popoli occidentali che partì per volare sopra la storia dalle rovine del mondo antico si è caratterizzato sempre per una duale forma di vita.[…]Questo destino, che li faceva, nello stesso tempo, progressivamente  omogenei  e  progressivamente diversi, deve intendersi con un certo grado di paradosso. Poiché in essi l’omogeneità non fu aliena dalla diversità. Al contrario, ogni principio uniforme rendeva fertile la diversità.
         José Ortega y Gasset,Meditacion de Europa.


Che fai –  Europa –  dove la sabbia
declina verso il mare  e al sole non ti sdrai
né avanzi fino a che l’onda ti lambisca i piedi?

Cerchi di risorgere nella memore
distanza di battaglie vinte e perse
di guerre guerreggiate con bandiere
sofferenze e lutti. Ostenti i tuoi tesori
nello sfarzo dei palazzi nei musei
del mondo negli scaffali di biblioteche
nelle teche di archivi. Nell’oroargento
delle cattedrali dalle guglie di ascensionale
impertinenza nelle policrome vetrate
nella voce di bronzo di mille chiese
che lentamente si spopolano mentre
filtrano progetti di califfato universale.
Tuoi vicoli non sono ciechi ma è luce riflessa.


Cancella l’immagine di nobildonna
decaduta che nel salone volteggia
(suona l’orchestrina il transatlantico
scivola al suo algido scoglio) non crearti
l’alibi di un ancienrégime che crede di cedere
all’urto rivoluzionario e cade per suicidio.
Non lasciarti travolgere dal vento dell’euro
sprigionato gabbando Eolo non restartene
tra Euro e Noto come in classici poemi
accura a questa  ventosa moneta a ventosa –
di banchieri non di popoli – che multipla
non è e non è unica. Non si camuffano
banconote per balli in maschera.

Guardati dalle fughe in avanti e a ritroso
mia commovente Europa rompicoglioni
non sei ancora un continente alla deriva.
Non essere il tuo ibrido signora che ti sai
anziana e ancora vitale e ti annachi
in una bascula perenne.
Una vita si può vivere  sotto un ponte
come insegnano i clochard
non si può stirarla standoci sopra
non traversando né tornando indietro.


                                                                                          Lucio Zinna

dalla raccolta inedita “Le ore salvate”




Calza Rossa & Ballad of Cable Hogue ░ Poetry-Song

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 © ioseph auquier
Calza Rossa era, per il suo I.P.1, una vera maestra nell’arte di cavar cipolle e patate, per non parlare dell’arte del raccogliere funghi (cfr. nella nota2 quanto viene detto in proposito per Aquila Gaudio): la posizione dell’arco ogivale delle ginocchia che non solo i Castracani ma anche gli arbëresh di Plataci e d’Alisandra chiamavano la posizione della pecora, che fa dele (al plurale è: delja) ma che, se andiamo a leggerla nella loro lingua, hark delli, sarebbe l’arco del tendine: ed è questo che in Aquila Calza Bianca(Shqiponjë-Çorap-i bardhë) e in Calza Rossa fa tendere, il tendine rosso e il tendine bianco, teso dall’arco ogivale nell’incavo delle ginocchia che riflette la massima declinazione del podice, che va tutto nell’angolo massimo misurabile col sestante, che è, teoricamente, il doppio dell’angolo massimo che possono formare tra loro le superfici riflettenti dei due specchi: e questo si ottiene quando lo specchio grande assume l’orientazione S(=centro del settore)/s(=specchio piccolo) e forma, quindi, con lo specchio piccolo, un angolo di 90°-β.
L’angolo β  è fisso nei sestanti ed è compreso, da sestante a sestante,  fra 10° e 15° e l’angolo massimo di un’immagine non confusa forma con lo specchio piccolo un angolo non maggiore di 80 - β, e quindi l’angolo massimo risulta inpratica 2(80°- β ) ed è compreso fra 130° e 140°, che sarebbe come avere il cannocchiale su un podice di terza grandezza che va di bolina larga o allasca. Curioso l’effetto orale nella parlata dei Castracani per indicare la superficie Ss di Calza Rossa: l’”arco rosso” è hark i kuq, che ha dentro l’assonanza con  ar- që- kuq, ovvero: “oro che(è) rosso”, ed è per questo splendore che l’immagine  si fa irredenta? Per Aquila Gaudio, si narra che gli indiani delle Tre Bisacce rendessero irredento lo splendore dell’immagine del suo “arco bianco”= hark i bardhë facendo rifletterlo con ar-qepë-bardhë, ovvero: “oro cipolla bianca”, e puntavano il cannocchiale del loro oggetto a mentre Shqiponjë-Çorap-i bardhë   era in posizione a cavar cipolle!

Note


1Il dottor Vicinz Gaz per primo puntò gli occhi, affascinato, sulle sue ginocchia, mormorò qualcosa come “divina creatura” o “gëzim i gazi│=“Gioia di Gaudio”│, e, senza nasconderlo, cercò di imprimersi nella mente la linea delle sue cosce. Con il privilegio dello scopritore dette un nome alla ragazza secondo quello che vedeva: Zonjushe Çorap e kuqx-Calza Rossa. E definì il tipo morfologico come “normolinea mesomorfa compatta” dandole queste misure: 163-164 cm l’altezza; tra 56 e 58 chilogrammi il peso; un podice da 96-97 cm, un possente deretano da 38”. Tanto che Calza Rossa aveva un indice costituzionale che debordava il limite canonico della normolinea mesomorfa, che è 56, essendo il suo pari a 59: 96.5x100:163= I.C. 59; e un indice del pondus altissimo, essendo pari alla ragguardevole cifra di 8(il valore di Altissimo decresce da 11): 163 – (58+97=)155= I. P. 8
2Aquila Gaudio, un autentico prodotto somatico di tipo mesomorfo, quasi o forse più seducente di Çorap e kuqe│leggi:”cioràp e kuĉke”│ [molti pensano che Calza Rossa sia in realtà Aquila Gaudio, che, però, sembra che fosse famosa per le calze bianche di lana di pecora, da cui indicibili allusioni alla posizione relativa per raccogliere melanzane, cetrioli, peperoni, pomodori, meloni, fagiolini, zucchini], discendente dai Pa-Rrottë della Sila e di cui narreremo in un’altra vicenda.

 →▐ V. S. Gaudio ░ La stagione della sella dell’imbroglio 
 ila palma palermo 2013

♦ La pittrice rossa di Sanremo e il ponte del diavolo

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Questo non è il ponte del diavolo di Lanzo:
è l'antico ponte di Challant
da cui la pittrice scrisse al poeta: "Piove sempre"
Quando il poeta conobbe la pittrice, quella che era nata a Sanremo e poi si venne a sapere che era imparentata con la strega di Rocca Priora, la pittrice era rossa, ma non era lei, questo disse una volta il poeta, e quantunque il suo oggetto “a” fosse stato in qualche modo preso al meridiano da questa ectomorfa rossa, che, quando poi si tirarono le somme, aveva il culo delle brevilinee ectomorfe e il seno manco a parlarne, perciò quella pittrice, in quella stagione di piombo nella città dell’esoterismo sabaudo, aveva si e no un indice costituzionale un po’ sopra il 50 e l’indice del pondus debole, se lo si rapportava agli hips, e basso, se rapportato al busto: tra 36 e 32 il primo , da 37 a salire il secondo, tenendo sempre presente che il valore di questo indice, per come ne ha brevettato la grammatica il poeta stesso, aumenta decrescendo[i].

La pittrice rossa e l’algoritmo al ponte del diavolo
by Gaudio Malaguzzi
Un giorno, dopo che l’ebbe conosciuta, la pittrice portò il poeta, un giovane radicale e sognatore, un pivello senza timore ma che leggeva con sobria attenzione non si sa quanti libri al giorno, cavalcando con urla di sfida la pulsione uretrale e il campo di coscienza, anche quando, scosso dalla visione dell’unico esemplare, il podice sabaudo, al mercato della Crocetta, vedendo la nebbia sul mare oltre il precipizio cui era destinato il suo oggetto “a”, gli riusciva difficile non essere mosso dal sentimento di sconfinata realtà, e oppresso come gli altri poeti dal destino di una categoria se non di una razza,e fu in uno di questi giorni, in cui  sbalzato di sella il centauro della rivoluzione culturale se ne andò con l’ectomorfa surrealista a vedere il ponte del diavolo a Lanzo, non sapendo ancora che quella pittrice brevilinea, così portata al tantrismo, era in effetti una parente stretta della strega di cui anche "Esquire", l’"Esquire" italiano, d’accordo, ne aveva reso e decantato le gesta al mondo di chi legge e sfoglia le riviste.
Del ponte del diavolo il poeta conservava una cartolina, che la stessa pittrice, una volta che i due interagenti non erano nello stesso habitat della città sabauda, ma, in effetti, non ricordava niente, né rammentava che la pittrice era lì che gli disse: io ero la più felice delle donne, come moglie e come curatrice delle suppellettili al museo di Bagdad e facendo della mia casa un luogo di ordine e di generosa ospitalità, perché io passavo per le stanze e giravo per il giardino, o forse gli aveva sussurrato: mio padre aveva un negozio di carrozze ed è diventato ricco ferrando cavalli, poi venne questo affiliato del governo che mi portò con sé a Bagdad dove avermi presa in sposa, ma un giorno non gli si eresse  più tanto e una donna, quando il suo oggetto anon viene colpito al meridiano, se ne torna a casa, o gira per i campi a caccia di uccelli, quaglie e beccaccini, cos’hai capito? Ma d’altra parte non aveva già scritto Marguerite Duras, nella vita materiale, che una donna è questo, ça, che vuole, essere colpita nel più profondo del suo nulla, al medio cielo, nel buco che ha al medio cielo, dove, quando vi passa il (- φ) del poeta lei impazzisce di desiderio e vuole cavalcarlo come se fosse una scopa o un cavallo passando e ripassando, avanti e indietro, ripetendo all’infinito il passaggio al medio cielo, fino a quando ciò che entra dall’orecchio sarà uno zufolo infinito nel tempo a venire e lontano dal suo meridiano per decine di gradi a est, o a ovest, a nord o a sud? E al ponte , sotto il ponte, cosa vide il poeta, non c’era scritto qualcosa, una lapide, su cui, poi, vide piegarsi una bionda
...vide piegarsi una bionda dolicotipo
a leggerla sollevandosi la gomma...
dolicotipo a leggerla sollevandosi la gonna,qui giace l’anima del mondo,  e anche i numeri che fanno il mondo, e l’arcano, che è il buco più stretto, e per questo ci vuole lo strumento dell’asino, qui c’è il culo del mondo o la gloria del gaudio nel più alto dei cieli, c’è l’arco del ponte, tra il medio cielo dell’oggetto ae, a est, l’ascendente del soggetto barrato, il significante,questo: a àȺ► Ṡ . O c’era stato Jacques Lacan o Belzebù ne sapeva una più del poeta!




[i] L’indice del pondus della pittrice doveva essere vicino proprio al 32, tenendo conto dei dati antropometrici relativi al suo assetto somatico negli anni settanta: 32è il grado più alto del valore che è stato denominato come “debole”, che è il valore dell’indice del pondus delle ectomorfe che hanno più fascino plutonico, tipo la Miele di Milo Manara, quella che è dentro il paradigma dell’anamorfosi del fallo, della sua invisibilità. Con i dati della pittrice, altezza 157 centimetri, peso 45 chilogrammi e giro-fianchi non superiore a 80, calcoliamole l’indice del pondus: 157 – (45 + 80=)125=32. Conseguentemente, l’indice costituzionale sarebbe questo: 80 x 100= 8000 : altezza 157 = 50.95. Il 32 dell’indice del pondus sembra che sia speculare, visto che siamo nell’orbita del ponte del diavolo e della strega, all’arcano dello stesso numero, che , nel tarocco, è il 6 di Bastoni, che, nell’iconologia classica, formano due triangoli opposti di cui uno è fuori terra e l’altro sotto terra; il sole si leva sull’orizzonte, come se fosse il significante, il soggetto barrato che sta nascendo. Heimlich la corrispondenza del periodo nel calendario: il 32 regge il periodo temporale in cui è compresa la data di nascita del poeta! Il 32, nel Foutre du Clergé de France, il cui uso, nel XVIII secolo, era esteso anche al Piemonte savoiardo, è la posizione della “giocosa”, che è un altro archetipo-epiteto che si connette al nome del poeta, cui è destinato tutto il desiderio della pittrice e del volerlo cavalcare, nella descrizione della posizione abbiamo il cavaliere che è seduto e la randomizzatrice che si siede a cavalcioni su di lui, e può stargli sia di fronte che al contrario, anche se il poeta, in questo caso, quali pomi di Venere dovrebbe cogliere se, come abbiamo detto, la pittrice non ne era punto dotata?

Difatti, la pittrice questo scrisse da Challant:
"Piove sempre".

•Witold Gombrowicz│Il gioco di Henia e di Enrichetta

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│© jan saudek│
Il gioco di Henia[i]:
I show up for you people adults[ii]
Tesi
Il gioco è una sorta di “Rapo” di secondo grado, fino a quando non provoca guasti permanenti e irrimediabili, o che i giocatori preferirebbero tenere ,o tengono, in qualche modo nascosto; e di terzo grado, perché non ci sono esclusioni di colpi e perché, nella trama di Gombrowicz, tre vanno in obitorio e uno in ospedale. E’ come “il bacio da lontano” ,o “l’indignazione”, frequentissimo nelle riunioni di società, in cui la donna fa capire di essere disponibile e si gode il corteggiamento e che, quando compromette abbastanza l’uomo, si chiude. Ma contiene virtualmente all’interno della struttura anche elementi di “Vedetevela tra di voi”: come rituale, in questo caso ha la tragedia dentro ma non per i protagonisti: l’uso esige che due uomini combattano per la donna, qui invece ci sono almeno 4 uomini con cui la ragazza gioca a “Vedetemi tra voi”[I show up for you people adults], in cui lei, mentre lo spasimante ufficiale, il fidanzato prescelto, si batte da solo, fa godere due Adulti e un Bambino.


Tipo clinico
Isterico.

Dinamica
Il gioco ha forti elementi uretrali per via della durata, ma essendo incentrato sul tatto ha connessioni orali, è un gioco bagnato e intenso. Esempio: “Non lo dirò a nessuno, sporcaccione”.

Parti
Il Poeta, la Ragazza Polacca, il Ragazzo Polacco: qui nella Lebenswelt.
Nel romanzo di Gombrowicz: lo Scrittore e l’Amico(gli Adulti), i Ragazzi.

Paradigma psicologico
Bambino-Bambina-Genitore.
Genitore alla Bambina: “Cerco di farti toccare il Bambino affinché io ti veda”.
Bambina: “Io cerco di farmi toccare perché l’Adulto se ne avveda e senza che l’Adulto in me abbia da ridire qualcosa al mio Genitore”.
Adulto dell’autore. “Che figli di puttana, ‘sti ragazzi!”

Paradigma sociale
Adulto-Adulta
Adulto:”Non si può procedere”.
Adulta: “Con questi Genitori e Adulti da cui è guardato e guidato il contatto che possiamo fare se non allearci col Bambino del Genitore, alimentare l’eretismo della libido del Genitore del Bambino del Poeta adesso e nel tempo finché la giovinezza superi il limite della sua istantaneità artificiale.

Vantaggi
Psicologico interno:”Me la faccio con il Bambino mio pari facendo godere il Genitore dell’Adulto”.
Psicologico esterno: evita l’intimità sessuale. Tiene in scacco e beffa l’Adulto e il Genitore della ragazza.
Sociale interno:”Te la vorresti fare la ragazza polacca. O almeno vorresti farti toccare con quelle sue mani”. Tiene in attesa il Bambino del ragazzo per far godere il Bambino del poeta.
Sociale esterno: “Vedetemi tra voi” vs “Vedetevela tra voi”[iii]; “Non è terribile e io non sono una figlia di puttana”.
Biologico: scambi sessuali intensi, diurni, meridiani, crepuscolari e notturni.
Esistenziale: godendomela così, quale Adulto avrà da ridire? Oppure: “Me la godo con l’Adulto del poeta mentre il suo Bambino si dà il bonheur”.

Maglietta[iv]
Davanti: “L’Adulto mi dà il bonheur facendomi partecipare leggermente con le mie mani e le gambe alla soppressione di un adulto”.
Dietro: “Il Bambino è qui con me ma,dietro, l’Adulto se la gode”.



[i]Enrichetta, dal terratsu Einrietta, che è il “pane secco”(Dauzat, Arg.mét.)[questa evocazione onomastica con tutto il suo bagliore illumina la scena nel capitolo 3 del romanzo -in cui c’è lei che si era chinata in avanti improvvisamente per tagliare con i denti il filo, con cui cuciva una camicetta, ed era bastato questo rapido gesto del suo corpo e dei denti perché nell’angolo divampasse e s’infiammasse l’altro ragazzo sotteso e connesso al fatto che il romanziere rilevi che Federico, l’amico adulto, giocasse con le palline di pane- quando ormai Enrichetta, il pane secco, era semiaddormentata con le braccia annoiate…(cfr. pag. 45 della 2a edizione italiana)], all’assonanza con cui si avvicina a una ricchezza indefinita, ancora “secca”, appunto, una ricchezza stretta, contenuta, un qualcosa che arricchisce è questo donarsi per il godimento degli adulti; anche in spagnolo, per via della lunga permanenza in Argentina di Witold Gombrowicz (non si dimentichi che “Pornografia” è del 1960 e che, come ricorda l’autore stesso, “fino al 1957 ero quasi sconosciuto, un emigrato stabilitosi in Argentina”), Enriqueta involve l’ “enriquecer” dell’”arricchire” ma anche l’”enriscado”, l’ ”enrocar” dell’”erto”, lo “scosceso”, l’”arroccare”, se non l’”enrojecer” dell’”arrossare”, “tingere di rosso”, e dell’”arrossire”. Ma va da sé che rica è anche “squisita”,”eccellente”, “deliziosa”, e ha in sé l’”incanto”, l’”amore” di ricura; come termine figurativo familiare, “rica” è “carina”, “graziosa”, “bella”: Enriqueta: qué niña tan rica! Che ragazza carina! Una “fichetta”, insomma: una pija. D’altro canto, l’ Enriqueta di assonanza spagnola ha questa bellezza dentro que es queda, “quieta”,”sottovoce”,  qualcosa inferiore al valore, appunto(come scrive nel Diario del 1955 Gombrowicz: ”La giovinezza m’era apparsa come il valore più alto della vita…questo ‘valore’ si distingueva però per un tratto caratteristico davvero diabolico: si trattava della giovinezza, quindi di qualche cosa di inferiore al valore”), ma que queda, cioè “resta”,”rimane”[che è un po’ come la intende Jean Baudrillard:”La vera immobilità non è quella di un corpo statico, è quella di un peso all’apice del suo pendolarismo, le cui oscillazioni si sono appena fermate e che ancora impercettibilmente vibra. E’ quella del tempo nell’istante- quella dell’ “istantaneità” fotografica dietro cui circola sempre l’idea del movimento, ma solo l’idea- in cui l’immagine è l’attestazione presente del movimento senza mai farlo vedere, ciò che ne toglie l’illusione. E’ di questa immobilità che le cose sognano, è di questa immobilità che sogniamo.  E’ su di essa che si attarda sempre di più il cinema, nella sua nostalgia del rallentatore e del fermo immagine come apice della drammaticità” e non specificava un po’ sopra che “E’ raro che un testo si offra con la stessa evidenza, la stessa istantaneità, la stessa magia di un’ombra, di una luce, di una materia”? Concludendo che “Tuttavia in Nabokov o Gombrowicz, per esempio, la scrittura ritrova talvolta qualcosa dell’autonomia materiale, oggettiva, delle cose senza qualità, del potere erotico e del disordine soprannaturale di un mondo nullo”: J. B., Perché l’illusione non si oppone alla realtà, in Id., Patafisica e arte del vedere, trad.it. Giunti, Firenze 2006, pagg. 93-94], è”, “si trova”, “sta “,” piano”, “sommessa”, Enriqueta vi dà anche appuntamento, “queda con los adultos a las cinco”, Enriqueta, è questo, è la fichetta che sta ferma, ha fermato l’immagine, nega il reale, inventa un’altra scena, impone la sua discontinuità, il suo frazionamento, la sua istantaneità artificiale, sparisce meglio por vosotros. He show up for you people adults; ella parece por vosotros adultos: “Yo me hago ver entre vosotros adultos”, questo è il gioco spagnolo che corrisponde a “I show up for you people adults”, sarebbe il “Vedetemi tra voi” con cui Enriqueta jugarìa en Argentina: bien mirado, un juego de niños! Ma si noti bene che nella versione spagnola( che ha per titolo La seducción, Editorial Seix Barral, Barcelona 1968) non c’è Enriqueta ma l’effettivo nome polacco Henia, e il diminutivo Heniusia, (Heniutka, Henjeczka), che come pure tutti gli altri nomi sono stati usati nella forma originale, cioè polacca. E’ evidente come l’ di Henia sia speculare alla H di Hip, rendendo vieppiù manifeste le implicite connessioni con la razza Wielkopolski. Henia, o Heniusia, trova così maggiore adesione con Harriet Moudron, di cui alle note 3, 4 e 6.
Sempre nell’ambito dell’assonanza, Enrichetta si connette al nome della protagonista del favolello più antico(secolo XII) che ha lasciato al francese antico il nome Richeut a significare “cortigiana”, “mediatrice”(cfr. Bruno Migliorini, Dal nome proprio al nome comune, casa editrice Olschki , Firenze-Roma-Ginevra 1927: pag. 167); né, pertanto, sarà azzardato connettere la nostra protagonista alla Rigolette, “ragazza leggera”, dei Mistères de Paris di Sue(1842). La leggerezza briccona di Enrichetta è questo il suo tratto polacco che seduce lo scrittore ed eccita la sua libido; questa “bricconeria polacca” è sottesa, se proprio vogliamo addentrarci nella strettezza della gola di Grocholice, dal termine spagnolo polaca, che ha un uso dispregiativo per come faccia alludere alla particolarità negativa, a una certa singolarità maledetta, di “catalana”. E questa “polacchina”,con la sua singolarità così stretta, questa non-pienezza che la rende inferiore al valore, con le sue scarpe, con cui schiaccia il verme insieme al ragazzo prescelto -inconsapevolmente da lei ma consapevolmente disposto nel circuito della sessualità e dell’alleanza teso dallo scrittore e dal suo amico Federico- o con il piede nudo sul piede di lui, non fa che calzare un dispositivo di sessualità il cui semivalore connette diabolicamente alla sua stretta leggerezza la rigidità disposta non dall’Adulto ma dal Genitore. Un rinnovamento dell’erotismo polacco, che passa con le scarpe, i piedi, le gambe di Enrichetta, questo passo stretto e felino che taglia corto col sentimento, o almeno lo meccanizza, ne fa l’incanto, la “ricura” di Riqueta, che va, sale le scale, con la sua immobilità vibrante, media il decreto di morte e condensa il suo potere erotico facendo sognare –fantasmare- la forma segreta della sua assenza, la non-pienezza del suo esserci, l’incanto iconico della sua strettezza immobilizzata nell’istantaneità artificiale del suo eterno semivalore dell’età introduttiva, la giovinezza.
Sotto il nome di Enrichetta corre l’ipogramma[ma sotto il nome di Henia corre l’ hippogramma, visto che è figlia di Hipolit?], di cui abbiamo svelato alcune marche, che fa riproporre l’istantaneità artificiale della ragazza mediante l’analemma esponenziale: il suo residuo insolubile, che le permette di farsi fantasma perenne, ha sterminato il valore e si è diffranto attraverso il tempo e il geografico, l’economico e il sociale. L’economia libidica, che è nel ciclo della letteralità perché va dalla reversibilità alla disseminazione, declina il suo nome, che, attraverso il suo valore pieno e fallico – o meglio: il suo semivalore non-pieno e uretrale – si diffrange nel romance temporale con una modalità siderale, che, con la propria convertibilità istantanea, ha un ritmo in cui si leva e tramonta come un sole artificiale. Come nel poema che rimanda a qualcosa, e sempre a nulla, al termine nullo, significato zero, c’è la vertigine della risoluzione perfetta, che lascia il posto del significato, del referente e che costituisce l’intensità del poetico: nel détour di questo romanzo, in cui l’ipogramma temporale, il Bonheur o il nome di Dio o di Enrichetta o di Heniukta, pur non conoscendolo, esplode poi nella Lebenswelt e che quando avviene è bene non gridarlo, né denotarne la singolarità, ‘ché l’invocazione letterale del nome, come di Dio e del Bonheur, è pericolosa, per le potenze nocive ch’essa  scatena: l’incantesimo velato, questa compitazione rigorosa del Bonheur, ma deviata, “perché il significante vale come assenza, come dispersione e uccisione del significato”[Jean Baudrillard, La sterminazione del nome di Dio, capitolo sesto di: Lo scambio simbolico e la morte(1976), trad. it. Feltrinelli, Milano 1990: pag. 223] :il nome del Bonheur vi appare nell’eclisse medesima della sua distruzione, nel modo sacrificale, sterminato nel senso letterale del termine. Non va sottaciuto il fatto che Enrichetta, essendo festeggiata il 15 giugno, abbia una relazione speculare con l’autore del romanzo in quanto Witold, che, non  casuale perciò, viene festeggiato anch’egli il 15 giugno:  questa modalità operativa dell’ipogramma sembra che sottentri anche nell’analemma esponenziale in ragione della Lebenswelt: dal diminutivo tedesco di Heinrich, che è Heinz, deriva Enzo, che da noi viene ormai usato a sé, anche come abbreviativo di Lorenzo, Vincenzo,  che, appunto, è il nome del poeta [Val la pena qui sottolineare che per la Chiesa il nome Ippolito, che è il padre di Enrichetta,vedi più avanti, sia quello di un ufficiale romano martirizzato con San Lorenzo?]. D’altronde, il semivalore della giovinezza è fatto per alimentare fantasmi narcisistici e un po’ fallici, per questo gli oggetti d’amore con questa longilineità un po’ amorfa-attiva
·[La fallicità longilinea un po’ amorfa 
di Enrichetta è speculare al fantasma 
narcisistico e fallico dello scrittore 
e del poeta]·
e “normanna” giocano con  il Bambino degli adulti, scrittore, amico e poeta.
Più che “normanna”, Enrichetta o Heniusia antropomorfizza una parte della razza nordica di Deniker, o slava di Penck che è la kirmica di Broca, dolicocefalo biondo col naso prominente, e una parte della razza vistoliana, che è più mesocefalica, realizzando una sorta di longitipo microsplancnico, o leptosomico, nella  immobilità del suo stato di semivalore, come dice Gombrowicz, che, oltre che la testa allungata e il naso prominente, ha gambe steniche e natiche dalla primarietà emotivamente verticale del tipo mesomorfo vistoliano: così com’è nella foto di Jan Saudek, che fa da cover, e che fa pensare – anche per il fatto che la Polonia è sempre la prima nazione in Europa per  numero di capi equini allevati e anche per il fatto che il genitore della ragazza, l’amico proprietario terriero che invita lo scrittore e Federico a casa sua nella provincia di Sandomierz, si chiami Ippo, ossia Ippolito , che è “colui che scioglie le briglie ai cavalli”, nome che nasce con il mitico Ippolito che è , guarda te, il protagonista della tragedia greca in cui vige quello che con Berne potremmo chiamare “il gioco di Fedra”, cioè una variante di terzo grado del “Rapo” – alla magnifica conformazione della razza Wielkopolski (il collo lungo e i quarti posteriori ben muscolati e tesi, le zampe forti, quasi atletiche) che mescola almeno 4 razze ascendenti, tra cui la Mazuren, che vantava ascendenti Trakehener, il prussiano orientale, la migliore razza germanica che procurò stalloni per le Scuderie Reali dal 1732, da Federico I di Prussia , in poi e che è un bel cavallo dinamico, dal temperamento calmo e docile, con una eccellente conformazione da ogni punto di vista. Ma chi può dire che nello spirito di questa puledra polacca non prevalga invece l’ascendenza Hannover, particolarmente adatta al dressage e ai concorsi di salto a ostacoli? Insomma, si va da “Federico”, che entra con il Trakehener ed è il nome dell’Adulto che dispone la connessione tra dispositivo di sessualità e dispositivo di alleanza con il giovane stallone coetaneo(compagno di scuderia, stavamo per scrivere), al “dressage”, che entra con l’Hannover: questa domatura della cavallina polacca che va addestrata al dressage, a questa completa obbedienza in modo che possa rispondere agli ordini del cavaliere – lo scrittore o Federico – eseguendo con perfezione ed eleganza figure e movimenti diversi. Insomma, la puledra Wielkopolski di ascendenza Trakehener e Hannover, che fa dresser, “rizzare”, “tenere eretto”, che è una delle tre norme principali che si devono seguire quando si è a cavallo: mantenersi calmi, andare e guardare diritto e, appunto, tenersi eretti. Per quanto attiene Ippo, l’altro adulto del romanzo che  disponendo del decreto di morte complica la situazione iniziale dello stesso, e, correlativamente, alla tragedia greca, cfr. Alessandro Gaudio, Euripide, Seneca, Racine, d’Annunzio:quattro modi di ostendere l’anti-camera. Analisi semantico-linguistica dell’idioletto prossemico di Fedra, © 1996, in cui, tra le altre analisi, con la morfologia di Souriau si verifica che il destinatore è impersonato sia da Afrodite che da Artemide, come nel caso di Pornografia, il cui il destinatore -che è sia lo scrittore che Federico- fa degli stessi personaggi gli ottenitori virtuali del Bene, che sono anche l ‘arbitro della situazione(=Bilancia), l’Aiutante(=Luna, che è di volta in volta sia Federico che Gombrowicz). Insieme al Sole, che è il rappresentante del Bene o Valore,  o in questo caso: semivalore,(=Giovinezza), che è Enrichetta, che è anche il Leone, la “forza tematica”,  che, sia come persona fisica che come depositaria della forza generatrice di tutta la tensione drammatica presente, è la vera protagonista. Il fatto che nel romanzo originale il nome della ragazza sia Henia, che sarebbe “Ennia” e che per questo è speculare al maschile “Enea”, dal greco Aineas, farebbe includere connessioni con il “punctum ainico” e il “bagliore didonico” di cui riferiamo in Aurélia Steiner de Tunis? Questa correlazione con “Enea” è verificabile anche dal fatto che “Ennia” sia nato come nome dalla distorsione latina del vocabolo ebraico che ha dato origine ad “Anna”: e la mitica Anna, la sorella di Didone, non era forse innamorata di Enea? Per questa ragione Henia andrebbe festeggiata come Anna il 26 luglio, che, come grado solare, è esattamente quello dell’Ascendente del  Poeta?  O va ricordato che, al tempo di Ovidio, Anna fu confusa con la dea Anna Perenna , e che, con questa allitterazione da fantasma perenne , è davvero lecito festeggiarla all’inizio della primavera con giochi e allegri banchetti, vera divinità della giovinezza? Il fatto che Henia rinvii agli “Heniochi”, connessi all’antica popolazione dei Sàrmati che abitavano ad est del Volga e della Vistola e che successivamente emigrarono verso occidente fino a raggiungere i confini dell’impero romano, addiziona ulteriormente la caratura Wielkopolski della nostra giovane puledra, visto che “Heniochus” non è altro che l’ Auriga, la costellazione del Cocchiere. A questo punto, la connessione con Harriet Moudron, di cui si è riferito alle note 3, 4 e 6, e che è la “cocchiera invischiata” dalla cadenza a percussione modronica, è ancor più Heimlich: dall’”ano-mudra”, l’anello gotico, resistente ed elastico di Harriet Moudron, all’ ano-heniochia, l’anello-auriga, il vistoliano buco per cavalcare nella pianura della giovinezza! Inutile aggiungere che il segno celtico[Henia è di origine celtica e significa “destinata”] del “Cocchiere-Vischio” del dio del sole Belenos e della sua quadriga d’oro comprende lo spazio temporale che va dal 6 al 15 giugno, che ancora una volta rinvia al “Belenos” autore del romanzo, visto che è il giorno del suo onomastico.
[ii] E’ una “Violenza Carnale” di terzo grado, e come tale è un gioco pericoloso che si conclude sempre con un delitto, un suicidio o una denuncia[cfr. “Rapo” in Chapter Nine, Sexual Games, in: Eric Berne, Games People Day, The Psychology of Human Relationships, Glove Press, Inc. New York 1981, pag. 126]; qui non c’è l’atto sessuale né l’aggressione criminale relativa. E’ una “Violenza Carnale” in cui lei gioca a “Vedetemi tra voi” (oppure:”Mi faccio vedere da voialtri adulti” ma anche “Mi staglio, mi faccio dettaglio, per voi adulti”) e lei non grida alla violenza per salvare la faccia, gioca con tutti, adulti e ragazzi, ma compare, risalta, mette a nudo, solo per voi adulti.
│© jan saudek│
[iii] Cfr. “Let’s you and him fight” in: Eric Berne, ed. cit., pag.124.
[iv] Per Bambino, Adulto, Genitore e altri termini dell’Analisi transazionale, vedi: Eric Berne, Games People Day, ed. cit., trad. it.: A che gioco giochiamo?, Bompiani, Milano 1967; Eric Berne, “Ciao!”…e poi?, La psicologia del destino, trad. it. Bompiani, Milano 1979. Per lo specifico in ambito letterario, vedi: V.S.Gaudio, O’Connor’s Life Games, © 2003; Idem, L’embardage-Duras, © 2003.

· da: v.s.gaudio, henia's game© 2007 ·


V.S.Gaudio▐ Lettera postuma a Nadia Campana: "Come facevo a saperlo?"

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Come facevo a saperlo?
+Lettera postuma a Nadia Campana
e dedica di Everybody knows by Leonard Cohen

Certo che la gente sa. Io non sapevo niente.
Quando ti sei suicidata, questo è quello che dicono, io mica l’ho saputo subito. Eppure ero a Milano, non dico ogni giorno ma era a Milano che veniva versato il mio maggiore quantitativo di ritenute d’acconto, lavoravo per non so quanti giornali, metti “Topolino” e company per andare a Segrate in Mondadori, “Astra” e altri periodici del gruppo RCS Rizzoli Corriere della Sera per andare a Crescenzago, “Il Monello”, e anche l ‘”Intrepido” a volte, andando a Cinisello Balsamo, eccetera, eccetera. Non seppi niente.
L’ho  saputo un giorno che c’era qui ( nell’alto Jonio dove mi tenevano col nome cambiato, questo non lo sapevi, e la gente faceva finta di non saperlo, e prigioniero di quella confraternita che io chiamavo degli gliaroni ma che si può chiamare anche del principe nero, e non è una favola, la gente lo sa[pensa che proprio nell’anno della nostra primavera ebbi un contratto per pubblicare un libro di astrologia e caratterologia francese per il gruppo editoriale Fabbri Bompiani Etas Sonzogno, pensa, mia  ragazza perduta, fu proprio per Sonzogno che quel principe nero, criminale di guerra, s’era messo a fare il Salgari!]) un presupposto amico locale e mi venne di telefonare a Paolo Badini e questo, come mi sente dopo anni, mi dice senza porre in mezzo né attesa né retorica – sai com’era Paolo, no? – che Nadiella è morta, s’è ammazzata! Erano passati due anni dalla tua morte, e io è allora che lo seppi da Paolo Badini. E non ho pianto, se è questo che vuoi sapere. E ho detto all’amico che era lì che eri in una fotografia sulla spiaggia di Rimini d’inverno, il mare d’inverno, l’Adriatico che – dissi all’amico- è triste d’estate figurati d’inverno, io l’ho visto nei miei inverni lunghi tra nebbia e neve a Milano 
V.S.Gaudio, qui non è
a Milano Marittima,
è nell'orangerie di sua
Nonna dello Zen
 
© marisa g. aino 
anni '70  del xx secolo
Marittima e già da allora sentivo che c’era un’aria erotica, sì, d’accordo, Bataille già da ragazzo mi aveva insufflato non so che atmosfera nella mappa cognitiva e il mio oggetto “a” andava costituendosi dentro il fantasma come se fosse Hans Bellmer a disegnarlo, almeno fino a quando Salvador Dalì non mi perturbò l’anima con l’Angelus di Millet, e poi vennero gli angeli Stuart che stanno in Vaticano a farmi impennare l’oggetto “ a” al meridiano  quattro o  cinque lustri dopo. In questa fotografia dove stavi sulla spiaggia, e non so chi ti aveva fotografato, insomma eri lì ed eri davvero patagonica, tra l’innocenza di chi non sa ancora e il bagliore dell’istinto che, poi, passato il secolo, chiamai anche “bagliore didonico” o “ainico”. Forse avevi pure una sciarpa. Non lo so. Forse non lo sa nemmeno chi ti fece la fotografia. La fotografia me l’hai data nella primavera del ’79, con il libro di Giovanni Testori, quello della “Passio Laetitae et Felicitatis”, ti ricordi la nostra primavera, che primavera del cazzo fu quella, inenarrabile e ottusa, la primavera del comizio d’Ingrao, in mezzo c’era stato pure questo uomo politico in piazza Maggiore a Bologna, e c’era quella sera Silvia Zangheri, ti ricordi, no?, che mi toccava il ginocchio al “Burghy” e tu avevi le scarpe con colore diverso, avevi sbagliato la tintura del diavolo, e quando l’altra – che, lei sì che- era di Rimini- voleva in qualche modo farmi target della sua pulsione tattile, che cosa facemmo in piena intesa immediata e istintiva che mai rivelammo? Le facemmo credere che stavamo insieme, almeno per il comizio d’Ingrao che, come si seppe dopo, di nascosto faceva il poeta, poi si vedrà, tanto a quel tempo i comizi duravano un bel po’, e allora prendesti la mia mano – ho sempre avuto una bella mano, la mano psichica, quella del  poeta la sinistra, e la destra è un po’ più filosofica, e mi dicesti che le scarpe, sì, hai ragione, Vuesse, ho sbagliato la tintura del diavolo, e ridemmo tutti e tre, io, tu e Silvia, e il diavolo sogghignava.
Quando tornai a Torino, dal sud, nell’autunno del 1979, e una donna, in piazza S. Carlo, al concerto di musica classica, per scendere giù dalla sedia mi prese dal trapezio e mi fece il target della sua pulsione tattile e uretrale, il libro di Testori, con la tua foto dentro, era sparito dalla mia mansarda. E anche un libro, di cui non ricordo assolutamente il titolo esatto, non lo so, un’edizione Mediterranee sugli zingari.

Dopo l’anno in cui seppi della tua scomparsa uscì questa canzone di Leonard Cohen: “Everybody knows”, che, me ne rendo conto adesso, dopo 29 anni che non ci sei, è il ciclo esatto di Saturno e se ci fosse stato Sebald ci avrebbe fatto un altro anello, è in questa ballata che è passata la nostra primavera. Ma, credimi, io non lo sapevo, come il mio nome, che mi hanno cambiato, la gente lo sapeva, io no. Everybody knows. I not. L’amico che era da me quando Paolo mi disse che t’eri buttata giù dal ponte a Milano disse che se avessi potuto parlare con me non l’avresti fatto. Lui lo sapeva, ne era convinto. E son certo che se lo rivedo ancora adesso è questo che mi dirà: “Avesse potuto parlarti, non sarebbe stata trovata morta il 10 giugno del 1985”.Everybody knows. V.S. not.


Nadia Campana
 ▐ Palabretta Trastullina™ 
è a V.S. Gaudio 

Amy Winehouse │ Maria Pia Quintavalla ♫ Love is A Losing Game

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DIFFERENZA.

come sei bella sembri
una montagna, differenza che si eleva
sopra di me il tuo ritmo
è sapore rosso sapore blu
tutto ti appartiene, nessuno
io non ti appartengo.
indebolita da muri bianchi
sognava lungo linee di stelle mosse
              spazi di lenta costruzione
              meno di una poesia.

Un idealismo pensiero che mi delizia
ha la mia donna ideale, sogna
su tutte le pene delle altre donne

non sarà la cerniera dei corpi     la parola
ma lingua di rosa
come meteora venuta.

POMPEIANA.
A noi due che ci amavamo
sotto noi due dipinti, assorte
divinità di noi stessi
propiziavano amore

stando qui in terraferma, io e te
febbri ci presero grani
cavi come la terra.


NEL SOCIALE.
nel sociale nel sociale
si è cacciata la mia amica
sabato si nascondeva

cantare si doveva
fra di noi teste delle dolci amanti
delle dolci sorelle
in risa cerchiate
           inutilmente nominate
restate, così restate.


 da : Maria Pia Quintavalla Il Cantare Campanotto editore Udine 1991


Twitter-Poetry│ Beckettiana da Maria Pia Quintavalla

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♦ Nel "By Logos" c'era anche Maria Luisa Spaziani...

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BY LOGOS 
Lacaita 1979
Quarta di copertina
Il treno e la Stimmung con Luciano Erba, la riscrittura reciproca con Jolanda Insana nel By Logos e la Ballatetta di Luciano Troisio

In memoria di Maria Luisa Spaziani

Nel By Logos, a cura di Silvio Ramat, Cesare Ruffato, Luciano Troisio, ma anche Fernando Bandini e Andrea Zanzotto[i], almeno all’inizio c’erano stati  pure loro ad avviare l’iniziativa con i “padovani”, c’era, cosa da non credere, anche Maria Luisa Spaziani, e, cosa ancora più incredibile, è che la poetessa torinese, che era la numero 17, in quell’ espo-esproprio transpoetico, rifece addirittura, prima, Gianni Toti, ch’era il 4, e, poi, Jolanda Insana, che era la 22. Colpisce anche il fatto che il sottoscritto, che è quello che ha inventato il genere denominato “Stimmung”, fece la Stimmungcon Luciano Erba, il numero 20, e anche Maria Luisa Spaziani fece la Stimmung con Luciano Erba; in più, speculare alla sua Stimmungcon Gianni Toti, c‘è la Stimmung che Toti fece con V.S.Gaudio!...
Jolanda Insana così rifece Maria Luisa Spaziani:
(22/17)
amore aspettando mordicchio bricòccole
sgranocchio gran-turco
la vita mi gratta le ascelle
si scotta le dita – la bruciamorfemi
i tarocchi dicono
                               è l’ora è l’ora
che bell’abbuffata – mangiamoci amore

la vertigine mi si porta via
quando ti vedo incedere a tanta regale distanza
ma che cazzo d’amore fai?
Maria Luisa Spaziani così rifece Jolanda Insana:
(17/22)
Lustrastilemi  ffrocio e baciapile
rampante su pilastri
butta la spugna, spurgo, tàgliati peli e fronzoli,
Sansone dritto da novanta.

Per angiporti vernacoli taberne
s’alluma d’astringenti lustrali,
sciuscià, sciò sciò!
Aria, orchiclasta lustrastivali.

Con zanne stercorarie incidi sopra il ghiaccio
Il mio epitaffio e poi mettilo al sole.
Alla montagna disse il topo guercio
aspetta che ti percio.

Chi ti piglia sul serio, sputtanato.
Se t’esce l’acqua dalle falle non
per questo di te sgargia e cresce il mare.

 La lama scrigna delle stelle se ne
frega delle lampare.

Rileggendo la mia Stimmung con Luciano Erba e quella di Maria Luisa Spaziani, mi vengono, in questa fresca notte a ridosso del 40° parallelo a nord dell’Equatore, i brividi: nell’incipit della poesia di Luciano Erba, io ficco :
anche tu
ta bouche à bout de souffle alunisage
sur le lit
Georgette Gladys
dont  il recueille le foutre
e andavo alla courbure du ventre
sifflant dans l’air
di  tweed

Maria Luisa Spaziani:
                                                                        anche tu
                  G2
                  leggevo                niente                                 perforata
ulcera              complimenti                                 nonostante
e andavo alla
                        numero                        Nomi
                un sambuco
                           della ferrovia
                qualcosa di nuovo
            nilotica(da Nilo)                               poetica(da Po)

Che dire? Se messo a letto, un verso, anche il più cancellato, è come una città opportuna, ha maniglie d’ottone, un astratto asteroide, un po’ come la mia Torino, e il treno, come verseggiava Luciano Erba, non può essere lontano, questo emisfero o stufa, anfratto asperoide, scrisse, nella sua Stimmung, Maria Luisa Spaziani: buonanotte e sotto a sinistra dio, sulla stessa riga a destra: mano, e sotto la mano: -UUNG!
WELTANSCHA- era nella pagina prima, sopra (e il treno non può essere lontano).
Nella mia Stimmung con la poesia di Luciano Erba, il treno non c’era, con la mano nilotica dans le corps immobile de Georgette anche allora avevo perso il treno, io che in treno ho incontrato la ragazza di Goteborg! Perduto il treno, me ne avvedo ora, c’era, quasi messo a letto, l’oceano, che è quantomeno l’archetipo-sostantivo che mi connette con la Spaziani[ii]: difatti, nella sua poesia per By Logos[iii],siamo nel 1978,  c’era il mare guardato per giorni per giorni l’amore aspettando ogni istante dissolvimi nel mare. Quel rombo di ondate richiuse in cui la poetessa anela essere portata via, manco fosse la losanga di Lacan…






[i]By Logos. Espo-Esproprio Transpoetico, a cura di Silvio Ramat, Cesare Ruffato, Luciano Troisio, Lacaita editore 1979.
[ii] Nel testo esplicativo, c’era tutta una teoria della Stimmunge della Lebenswelt, che ho allegato alla riscrittura di alcuni testi di quell’esperimento di By Logoslamentavo che l’interazione con i testi dell’”ESPO”, così era inizialmente denominato quell’esercizio di riscrittura anonima, era stata “un poco rigida in quanto la loro virtù paradigmatica poco lasciava alla forma soggettiva che circoscrive e trascende questo io fungente che scrive nella terza decade dell’agosto 1978”: forse quella stessa economia territoriale, ovvero la semantica, che avevo intravisto nella poesia 17, che nessuno dei poeti che partecipava all’esperimento, escluso i curatori, sapeva che fosse Maria Luisa Spaziani; certo che fosse stata dentro il desiderio dell’io fungente che temporalizzava le mie prensioni in quell’agosto, avrei tirato fuori una Stimmung, o forse una Lebenswelt, con passaggi, apparizioni, sottrazioni di Vicente Aleixandre, Maurice Blanchot e altre donazioni di senso assunte da Pierrette Berthoud, di cui al suo Hermès Baby,  che, guarda te il caso, fu pubblicato in “Minuit” n.17[Janvier 1976, Paris], lo stesso numero di Maria Luisa Spaziani nel By Logos
[iii] Indimenticabile, comunque, la riscrittura della poesia di Maria Luisa Spaziani che ne fece Luciano Troisio: una Love Ballatetta,per quella che aveva come titolo “Interrogato il morto non risponde”. Insieme ad altre 24, che riguardavano gli altri poeti, il curatore-poeta di By Logos la pubblicò in: Luciano Troisio, Venticinque Vettori, Nuovedizioni Vallecchi, Firenze 1981. La riproduciamo qui, in estratto visivo, omaggio di Luciano Troisio in memoria di Maria Luisa Spaziani. 
LOVE BALLATETTA in:
Luciano Troisio, Venticinque Vettori, ed.cit.:pag.35
LOVE BALLATETTA in:
Luciano Troisio, op.cit.: pag.36



Media Original Text™ ░ I Test di Paperinik │Ariete │"Topolino"

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 I Test Astrologici di Paperinik di Vuesse Gaudio
Sei un vero Ariete?
"Topolino" n.1374
Arnoldo Mondadori Editore
Milano 28 marzo 1982


Twitter-Poetry │Beckettiana per Adriano Spatola

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▲ Dialogo sulla Montagna Calabrese con Mia Nonna dello Zen

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Dialogo sulla Montagna Calabrese con Mia Nonna dello Zen
Quando lo lesse Mia Nonna dello Zen disse “Non è certo La Montagna Incantata di Thomas Mann ( che, d’altra parte, lo ha fatto trent’anni prima), né ha lo stesso senso di coesione nazionale che la montagna dona agli Svizzeri. Nonostante la molteplicità dei Cantoni – disse Mia Nonna citando Elias Canetti – l’uso di quattro lingue e la differente struttura sociale non hanno potuto recare alcun serio danno all’autocoscienza nazionale degli Svizzeri, un po’ come l’uso di tre lingue e la mancanza assoluta di montagne non hanno potuto recare alcun danno all’autocoscienza internazionale dell’Ordine di Malta, foss’anche  quello allocato a Napoli, di cui fino al 1976 fu priore uno dei Pignatelli di Cerchiara. E lì si sa – disse profetica Mia Nonna – che alla fin fine il pane lo sanno fare. Non a caso sono quelli della Timpa. E nulla ti vieta di pensare sia alla Montagna in Valtellina, da un lato, che a Montagnana, dall’altro, il centro agricolo padovano dove c’è la villa Pisani del Palladio e dove questo cognome si combina spesso con quello che hanno imposto a tuo nonno dopo avergli tolto il suo.
Tornando agli Svizzeri, che hanno un simbolo di massa che sta perennemente dinanzi agli occhi di tutti loro, le montagne, un simbolo davvero inamovibile, altro che incantato, che cala unito verso la pianura come un unico, gigantesco corpo. Il corpo… – disse sospirando Mia Nonna – ah…quello, questo, che ha fatto questa montagna calabrese, lo vedi? E’ il nipote che ha fatto studiare tuo nonno. Il quale, anima nobile e generosa quante altre mai,  ha contribuito a finanziargli pubblicazioni afferenti al discorso forestale della Silva Magna (che non è solo quella calabrese della Magna Grecia). E questo che ha fatto in cambio?”
-“Se n’è andato in Svizzera?...A Montale? A Montallegro? A Montelepre? A uno dei tanti Montalto? Dai, Nonna, se n’è andato a Montalto Uffugo?”
-“No. Ha preso l’unico corpo e lo ha smembrato. Ha tolto il cognome a tuo nonno e lo ha messo con l’assetto anagrafico e dello stato civile di questo luogo comunale di fronte alla sua provenienza, alla sua Herkunft”.
-“E che c’entra la Svizzera?”
-“La Montagna, come la Svizzera, c’entra sempre. Come Malta, anche se non ha la montagna! O il Discorso della Montagna redatto da Matteo che costituisce la somma dell’insegnamento morale di Gesù”.
-“E Thomas Mann?”
-“E’ tedesco. C’entra. Ma devi sapere che questo nipote era un agrario, un georgofilo come Scardaccione, quello del paese di tua madre. Capisci adesso cos’è la Montagna Calabrese e perché a tuo nonno è stato tolto il cognome ai sensi dell’art. 22 della Costituzione della Repubblica Italiana?”

♦ Jess(ica)™ della bicicletta si è fatta gelataia, o la gelatiera?

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Gessica e il gioco dei bigliettini a domanda e risposta
by Gaudio Malaguzzi

Avvenne che un giorno la ragazzina del surplace e delle cremeria Gessica, nel farsi incontro al poeta che leggeva e ponendosi curva verso l’alluce intanto che la cremeria mostrava al poeta l’abbondanza dei suoi gelati al forno, fu presa dalla curiosità e chiese al poeta cosa stesse leggendo.
Dei vecchi giochi – disse il poeta. Intanto c’è questo, diffuso in tutto il mondo, quello dei bigliettini a domanda e risposta. Vuoi sapere come si fa? Si parte da una serie di domande e tiriamo fuori una narrazione, un racconto, una storia. Tu rispondi alla prima domanda e pieghi il foglio; io rispondo alla seconda domanda e piego il foglio; tu rispondi alla terza domanda e pieghi ancora il foglio; io rispondo alla quarta domanda e ripiego il foglio; tu rispondi alla quinta domanda e pieghi il foglio; e  alla sesta e ultima domanda rispondo io e rispondi tu, ognuno di nascosto dall’altro, e ognuno piega il foglio. Poi, leggiamo le risposte come un racconto. Ne può venir fuori un nonsenso oppure una storia comica, oppure…Oppure?-fece lei. Oppure si leggono le risposte, si ride, tu continui a fare il surplace con la bicicletta o mi fai rivedere i centometri da ferma, e tutto finisce lì. E poi si può analizzare la situazione ottenuta e ricavarne un’altra storia. O conservi il gioco e quando capiterà in futuro lo rifarai. Ogni volta? Ogni volta. Facciamolo- disse Gessica, stando seduta sulla bicicletta: Vorrei un gelato. A che gusto? Al cioccolato cioccolato! Leccalo intanto che giochiamo.
“Chi sei?” Lei chiese al poeta che cosa doveva dire, il nome? No.Chi sei, così chi ti senti di essere anche un solo istante… “La gelataia”(scrisse Gessica).
“Dove si trova?”Sul lungomare sulla bicicletta(scrisse il poeta).
“Che sta facendo?” Sta sulla bicicletta e lecca il gelatone al cioccolato(scrisse Gessica).
“Che cosa dice?” “Oh, è una delizia questo gelatone, ne mangerei altri 100 seduta sulla mia bicicletta”(scrisse Gessica).
“Che cosa dice il poeta?” Lo fai leccare pure a me il tuo gelatone al cioccolato sulla bicicletta?(scrisse il poeta).
“Com’è andata a finire?”Lei si compra una gelatiera e non viene più qui a leccare il gelato da passeggio(rispose il poeta); Come, come è andata a finire? Chiede lei al poeta? Beh, come finisce la storia? Quale storia? – fa lei perplessa. La storia che stiamo giocando, la bicicletta, tu, il gelato, le pietre della spiaggia, il libro…Ah, ho capito. E scrisse:”Il giorno dopo la gelataia che ero io ritornò sul lungomare e domandò a quello del libro se voleva assaggiare uno dei miei strepitosi gelati”.
Wordle: gessica o la gelatiera di gaudio malaguzzi
Wordle a 50 words
Wordle: gessica e la gelatiera by gaudio malaguzzi
Altra Wordle a 50 words

Gessica│il numero della Temperanza

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L’orcio di Gessica e la voce del fallo del poeta
by Gaudio Malaguzzi


Wordle: l'orcio di gessicaUna volta che alla ragazza della bicicletta si dette il nome , e questo fu Gessica, avendone ricavato il numero 14[i], che è il tarocco della Temperanza, combinata alla lettera Num , abbiamo la mescolanza dell’angelo e della donna, fin tanto che così rievoca il mito dell’ermafrodita, archetipo sostantivo dell’androginia che, per i cicli dei Rosa Croce, corrisponde al Sole nello Scorpione, anche se, pur essendo nel cielo del Sole, come asserisce Eliphas Levi, è per questo associata al periodo del cambiamento della vita, e delle stagioni e delle temperature, e in ragione di questo atterrebbe al periodo che inizia con i giorni di Alcione.
Gessica, come temperanza in bicicletta, è dunque connessa al cielo del Sole, e alle stagioni e alle temperature, per questo è dentro la cremeria e la gelateria: combina idea e forza, è il movimento, o la reversibilità, come oggetto a , nel poeta, sarà l’armonia dei misti, una sorta di anamorfosi dell’economia e della mutazione.
Questa ragazza che va in bicicletta, passando al meridiano del poeta, e travasa il liquido nelle sue brocche che, come angelo, tiene in mano: sul sellino, quando teneva il manubrio tra le mani ed era un po’ curva, la combinazione delle forze la mostra al poeta nella numero 14 del Foutre du Clergé de France: dove c’è acqua, come la corrispondenza astrologica della Temperanza che è l’Acquario, perciò è nella posizione denominata “Il nuoto a rana”[ii].
“L’orcio travasò a lungo il profumo che lo riempì per la prima volta”: questo sintagma(son parole di Orazio)[iii]si mise a didascalia della Temperanza nel frontespizio di un libro del 1600.
Tra movimento e iniziativa, il liquido di Gessica è tra bicicletta e cremeria, gelateria e mare, il liquido come aroma non lascia dubbi in proposito, né fa dimenticare al visionatore, a cui lei con tanta temperanza, indirizzava l’iniziativa, che altro non è che travasare dall’orcio a lungo il profumo che lo sta riempiendo per la prima volta.
Wordle: l'orcio di gessica 2Passerà così al meridiano del suo oggetto a e di quello del poeta nelle stagioni e nei cambiamenti della vita: intanto “fugge”(è lo schema verbale che corrisponde , nella tavola numerica del sistema gancio della memoria, al numero base di Gessica, che è 86), ma poi con la stessa “foggia”(è sempre 86) si fa “voce”(=86) del (- φ) del poeta.




[i]Che si ottiene così, usando l’Alfabeto numerologico dei Rosa Croce:
G=3 x 7=21
E=5x6=30
S=3x5=15
S=3x4=12
I=1x3=3
C=2x2=4
A=1x1=1
Il primo numero dato alla lettera è quello dell’alfabeto citato, il secondo numero è dato in ragione alla progressione discendente delle lettere del nome: l’ultima lettera del nome sarà perciò moltiplicata per 1; la penultima per 2; la terzultima per 3, e così di seguito. La somma è 86, che è il numero base, che, essendo superiore al numero dei tarocchi(70) si addiziona cabalisticamente: 8 + 6 = 14.
[ii] La ragazza piegata sul manubrio, poggia il ventre sul sellino e il poeta è accolto tra le sue gambe ben aperte; poi incrocia le gambe sui garretti del poeta, che…dovrebbe commutare il nuoto a rana in il ciclismo a rana.
[iii] L’orcio corrisponde in modo doppio sia all’Acquario che al Sole nello Scorpione, di cui l’attribuzione di Eliphas Levi: anzi questa attribuzione è oltremodo patagonica, essendo lo Scorpione il buco assoluto, il più patafisico, l’orcio del corpo umano.


Media Original Text™ ▐ L' Ascendente per "Topolino"

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"Topolino" n. 1349
Conosci il tuo Ascendente

Vuesse Gaudio
E l'Ascendente
dove ce l'hai?

 Conosci il tuo Ascendente
byvuesse gaudio
“topolino”n.1349
Arnoldo Mondadori Editore
Milano 4 ottobre 1981

Il barocco leggero di Roberto Sanesi ▌Gio Ferri

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Gio Ferri
Presentazione della raccolta bilingue di
Roberto Sanesi “OTTO  poesie”  -  1949-2000
con litografie di
Joe Tilson
Edizione limitata fuori commercio Giorgio Upiglio, Milano / esemplare n.XVI di XX

Libreria Mondadori / San Marco 1346 / Venezia
Martedì 7 marzo 2006

Sono particolarmente commosso ogni volta che ho l’occasione di scrivere o dire dell’amico e maestro Roberto Sanesi. La nostra vita un poco frenetica, fatta di viaggi e di impegni numerosi, ci faceva incontrare piuttosto raramente, in occasione di qualche mostra, in qualche galleria, o all’uscita di Brera.  Eppure la consonanza della nostra visione della vita e della poesia non veniva mai meno, uniti anche dalla sua generosa adesione alla fondazione e quindi alla gestione (tuttora in corso dopo oltre vent’anni) della rivista TESTUALE critica della poesia contemporanea: periodico semestrale che abbiamo fondato, con Gilberto Finzi e con Giuliano Gramigna, incoraggiati da Sanesi stesso, proprio per supplire alla lacuna di una critica testuale e analitica rivolta alla poesia più recente, magari giovanile e anche inedita. E in questa circostanza si dimostrava particolarmente utile per questa piccola ma non modesta palestra proprio la passione professionale, estremamente filologica, interpretativa e creativa di un traduttore della dismisura espressiva e del rigore di Roberto Sanesi. Sanesi riteneva (e oggi, dopo di lui, ciò appare persino ovvio) che non si potesse osare la traduzione dell’oggetto poetico, in sé teoricamente intraducibile, senza prima mettere in atto una stretta analisi critica, storica, filologica,e anche psicologica del testo originario.
Sanesi poteva affermare e realizzare questo programma in quanto era – e rimane attraverso i suoi testi – un saggista di raro prestigio per rara sapienza e vasto respiro e infinita ricchezza analogica, ma soprattutto, era, è un poeta. A mio avviso – al di là delle deprecabili trascuratezze di certa critica irrigorosa e troppo spesso insipiente, indigente e commerciale – era ed è uno dei più importanti e sensibili e innovativi poeti del secondo Novecento. Capace di cogliere senza epigonismo alcuno le eredità delle avanguardie storiche e la presenza coeva delle neoavanguardie, elaborandone la validità innovativa attraverso una visione personalissima di classicità. Non voglio cavarmela con la solita facile formuletta, ma credo che il suo lavoro fosse il perfetto connubio fra tradizione e ricerca: non a caso, solo per fare un paio di esempi, frequentava insieme, senza contraddizioni, esperienze come quelle di Thomas Eliot e di Dylan Thomas. Traduceva e commentava Milton e Shakespeare, e si faceva rapire, senza debolezze ma sempre con rigore critico, dai metafisici inglesi.
[Qui dovremmo dire anche della sua eccezionale esperienza grafico-figurativa, dalla visual poetry alla pittura tout court.  Ma è un altro importante capitolo della sua immensa attività, che già altre volte m’è capitato di considerare con fascinazione: va trattato a parte, e non questa sera. Va solo ricordato qui che il dialogo fra tradizione e pittura d’avanguardia non era minore nel connubio e nell’esperienza poetica e criticadi parola. In realtà è impossibile distinguere nella sua opera totale la paroladal segno inteso in senso più comprensivo. Ed è impossibile distinguere la sua creativa acribia critica sia con riferimento alla poesia, sia con riferimento alla critica d’arte e alla attività di organizzatore raffinato di mostre… da Sutherland, ai surrealisti, ecc.].
Ma questa sera siamo fortemente attratti da un’altra non certo secondaria fascinazione che ci conduce ad interpretazioni non usuali della poesia, dico poesia di parola in senso stretto, di Roberto Sanesi.
Questa sera abbiamo qui un gioiello tipografico (cosale, tangibile, vale a dire godibile in tutti i sensi, anche tattili oltre che visivi): Otto Poesie con litografie e acqueforti di Joe Tilson. Ciò grazie alla ben nota maestria tipografica di Giorgio Upiglio, di cui sembrerebbe superfluo tessere sperticati elogi. Ma noi ci permettiamo ugualmente di esaltarlo: non a caso straordinario è stato negli anni il suo sodalizio con Sanesi, poeta e grafico. E per quanto mi riguarda – ma non sono il solo, ovviamente – grande è l’emozione nel conoscere di persona (chi non lo conosce per la sua opera!?) Joe Tilson, uno dei più straordinari artisti figurativi inglesi del Novecento.
Ma l’evento più sorprendente sta, a mio avviso, nella capacità di Tilson di cogliere nella poesia di Sanesi (e nella sua generale visione storico-estetica e filosofica tout court) una caratteristica sottile e non sempre opportunamente rilevata dalla critica corrente. E’ sorprendente come Tilson in fondo con pochi segni, con poche tracce, sappia rivelare l’aspetto (che è uno degli aspetti, ma non il minore) esoterico dell’opera poetica di Roberto. Proprio discutendone con lui, con Roberto (in relazione anche alla passione per Milton e per i Metafisici – ma pure Eliot non è estraneo in questa rara istoria) mi capitò di trovarlo consenziente e anche divertito quando osai porre la sua poesia nella tradizione, modernamente interpretata, è ovvio, che va dal neoplatonismoal neobarocco (intendendosi il barocco come uno stato d’animo non classicista, piuttosto che un puro accidente storico-epocale). Riconobbe che non era estraneo in lui il sogno (nella trasparenza dell’ombra, titolo di un suo saggio famoso) che lo rapiva in una sorta – così lo chiamammo – di barocco leggero. Quindi non nordico né romano: piuttosto, per l’appunto, esotericamente neoplatonico. Discutevamo di questo su di un esempio concreto, l’Elegia citata dalla sua raccolta La differenza del 1988:
Isola nera e triste, misera terra, voce / rotta dal ritmo placido del remo, qualcuno / sulla minuscola barca mi mormora, vento / perduto in mezzo ai loti, respiro, non più / che una farfalla di vento fra le alberature, forse/ un’altra annunciazione…
Chiunque abbia modo di conoscerlo non può non pensare al sogno neoplatonico di Poliphilo nella Ypne-roto-machìa di Francesco Colonna (un testo, o poema, o visione fantasmatica del 1499). Testo raro e tanto caro a Tilson, come lui stesso mi conferma.
Ebbene cosa trovo nelle litografie e acqueforti di Tilson in questo libro prezioso che ammiriamo qui: trovo la stele della spirale labirintica che mi rammenta le lapidi degli Astragali con segni cabalistici e citazioni virgiliane più volte inserite nel poema di Francesco Colonna; trovo il simbolo prolifico e misterioso del melograno tanto ripreso nelle opere del tardo rinascimento e del maniersmo; trovo il calco della mano che miracolosamente segna sull’acqua di un lago… il ritmo placido del remo… la minuscola barca, il mormorio del vento, il respiro di una farfalla, i loti e il loro dono dell’oblio… Una nuova sorprendente indescrivibile annunciazione
Le Otto poesie di questo libro vanno dal 1949 al 2000: nella loro sintetica progressione coprono quindi quasi l’intero arco della produzione poetica di Roberto Sanesi. In breve, per accenni, un lunga storia.
Vogliamo cogliere il filo rosso di quel barocco leggero di cui si è parlato, che riconosceva lo stesso Roberto? Ecco allora:

1949: … la fiducia assorta degli uccelli… le viscide astrazioni del silenzio…le vene e i cristalli d’agosto…

1980: … nell’imminenza / porosa di una nuvola… il grande taglio / nell’ombra… l’orrido in fondo / precipite… fumosa clamide allora / dellacivetta…

1980: … la simmetria insanabile / dello sguardo appoggiato alla colonna

1980: … l’intricata ferocia che ne viene / l’istante / del non finito che ancora s’arrampica / a lusingare il profilo notturno…

1990: … l’ingenito idillio

1999: … la notte mi perseguita / quando organizza in sogno anche la perdita / che mi pareva ormai definitiva…

2000:… gli occhi / del buio rimasti in incognito…

2000:… perché portare a termine / quando nessuno, in giardino, / ha mai visto il mio glicine concluso. / Se allora fosse del fiore il fallimento, / questa, diremmo, è la bellezza del mondo, / la sua esperienza visibile.

Questa è anche l’ambiguità sognante e la nuova annunciazione del giardino di Poliphilo di Francesco Colonna. E questo è il barocco come stile delle forme che volano(Curtius e D’Ors), in una angosciosa  armonia(che è la condizione del sogno), l’inquietudine sommessa, il trionfo delle eleganti metafore e allegorie, il cultismo… E infine ancora una volta l’amore di Sanesi per la lirica autenticamente barocca da Donne, a Herbert… a Shakespeare, a Milton di cui è superfluo per tutti sottolineare qui ancora una volta l’eccezionale impresa critica, traduttiva e creativa di Roberto Sanesi.
            Riporto a solo titolo d’esempio (le altre poesie verranno lette fra poco):

Idillio
Di risa brevi, di suoni / riconducibili a nulla. / E dunque l’ingenito idillio, / restituzione / solo per un istante fra le labbra / del pensiero che ancora non osavi, il dove  /  dove ritorna e accresce, (la barba lunga il grigio / del ghiaccio), e qui li vedi tutti, gli invitati, mentre / ridono sulla porta, il fragile paesaggio / che hanno attorno agli occhi, dolente, / incursione di mani che sprofondano / bianche di giorni, di vecchi sovraccarichi / che si rifanno il letto, / che spostano le briciole in un angolo / di quelle risa.

Idyll
Brief laughter, sounds / traceable to nothing. / And  then the inborn idyll, / restitution / just for a moment between your lips / of a thought  that was still too bold, the place / where it returns and grows (longa beard, grey / as ice), and here you see them, the guests, / laughing in the doorway, the fragile landscape /of painaround their eyes, / an invasion of hands that reach down / whitened by days, a backlog of crushing loads / making their beds again, / brushing the crumbs into a corner / of those laughs.
Questo testo [ senza la poesia “Idillio” e con un cappello che qui manca] di Gio Ferri è stato pubblicato nel numero 18 di lunario nuovoanno xxvii, dicembre 2006, monografico dedicato a roberto sanesiLeggi anche la  doppiastimmung di v.s.gaudioanch’essa presente nel monografico della rivista diretta da mario grasso   

L'artistapoeta dei segreti aforismi│Ettore Bonessio di Terzet

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Raffaele Perrotta  ama  i soldatini e parla adagio 






Io so. Ergo sum. So di essere. Che cosa? Ecco la prima domanda dopo tante asserzioni. Chi sono io che ho la coscienza di me stesso (Io non ego)? Sarà poi mio o me lo avranno messo o lo avrò messo io come maschera pirandelliana? Sono Amleto o Pessoa? Io sono tu: dice un proverbio arabo/giudaico/israelo/islamico/cristiano/induista, prima di Rimbaud. Perrotta dice: l’uomo storico più grande è stato Gesù, dal sotto della scala universitaria -  l’unico principio inconfutabile da tutte le umanità è quello detto da Gesù: non fare all’altro quello che non vuoi sia fatto a te. Mi rispose: dici poco.
Raffaele Perrotta ama i soldatini, la carta sindacale del Quarnaro. Ama Mao e Pound, poco meno Eliot, quasi niente Auden, molto …….. D’Annunzio anche Heidegger Capasso.
Ha scoperto gli scritti di Sciacca, gli ultimi.
Mi presentò al Motta di Genova nel  1981 Carandente che veniva da Parigi. Poi si trasferì da Venezia a Genova. Università. Dopo Sydney. E comincio il sodalizio fatto di chiacchiere idioletti progetti effettuali litigate calcistiche revisioni di Socrate Platone Spinoza Wittgenstein Aristotele Hegel Kant la pittura la poesia l’architettura i nuovi artistipoeti , i corsi per giovani e studenti, all’università e fuori. Della cronaca politica sbeffeggiando le azioni da pupattoli maliziosi riconoscendo gli avversi.  Sempre gentile sempre corretto sempre pronto sempre in ritardo sempre discontinuo nello stare in pubblico sempre costante nello scrivere, nel leggere pensare  e ripensare ed agire.
Uomo. Falsamente distratto dalle cose nuove della vita che riporta sempre al proprio indirizzo mentale in sé ed elabora per trovare i principi del vivere totale, ama Nietzsche Wagner e la musica “leggera” soprattutto napoletano e Totò.  Incoraggia l’intelligenza, attacca la superbia e la stupidaggine come l’ignoranza dei giovani che così si distruggeranno. S’incazza quando qualcuno lo vuol prendere coscientemente per il bavero, studente o personaggio o maestro. Parla adagio e forza sui termini per offendere senza essere offensivo. Ama la costanza, doppiamente. Costanza del vivere la Costanza sua figlia una dolce piccola grande indiana. La moglie e il cane, i cani che porta sempre a far pipì alla notte e talvolta assieme parliamo di morte di dio di arte di poesia di che cosa fare. Molti studenti tantissimi lo amano e lo rispettano, per amicizia lo chiamano ancora professore molti gli danno ancora del lei, pochi del tu e lui vorrebbe tutti assieme e lui in mezzo ad ascoltare per un poco per poi iniziare manovrando la mano gassmaniana curvato per girare e avvolgere nell’aria le parole pensate e uscite a parlare di un breve argomento per ore. Festina lente. Uomo che si carica nel silenzio ed esplode nella scrittura poetica, nella conversazione dotta, nel dialogo avveduto e sintetico. Ama Maradona Bene Pantani Coppi e ricorda con piacere suo padre sua madre e Milano e medicina e gli amici milanesi e veneziani e napoletani. Tanti ne ha. Viaggia poco, aveva paura di volare a Sydney e non voleva ritornare in Italia. Riconosce il maestro anche se è stato scorretto con lui. Si ama non per vanità ma per dovere di conoscenza. Mi ha aiutato e aiuta a corroborare la struttura di fiducia. E’ un buon maestro che si dice compagno. E’uomo di cultura, non ama gli intellettuali perché è uomo probo a cui piace la pastasciutta con a’pummarola in coppa e il vino. Guida ma teme la velocità quando guido. E’ un grande amico come don Perazzoli. Ha discusso con Mariuccia su vari temi e nel rispetto altrui non ha mai interrotto il suo cammino. Non capisco che cosa veda in Heidegger, questo giocatore di parole, trecartista come il Bollito Oliva, lui Raffaele Perrotta che parla per arrivare alla parola originaria e originante in continuo svolgersi.
Credo che tra le sue righe troviamo i segreti aforismi posti dal Perrotta. Tra questi il suo vero che è uno degli infiniti raggi della verità, non interpretazione.
Ama la propria liberà e l’altrui. Non l’alterigia e l’ignoranza. Mi segnalò casi di alta psichiatria per alcuni professori e ricercatori dell’Università. Senza cattiveria con pietà meravigliata. Stupito che uomini potessero cadere in tal modo. Bisogna stare in piedi, sempre. Non è facile, ma quando si cammina a quattro zampe non bisogna stare in pubblico, bisogna isolarsi stare nel deserto. Soli per rigenerarsi.
Sta il Perrotta nell’ortoprassi di un seguace del Nazareno sul quale e a causa del quale legge ogni settimana i testi neoveterotestamentari.
Uomo di cultura, non intellettuale.
Chi lo ha ascoltato e chi lo ha letto potrebbe dire che le due cose non si accordano, che sono in opposizione e contradditorio. Niente di più sciocco. Perrotta quando parla o discute si dispiega essotericamente, si apre ad un uditorio non propriamente suo; quando scrive questo muta, diventa altro, gli ascoltatori che non vengono attratti da suadenze tonali o corporali, ma che devono seguire con il pensiero con la mente con l’intelligenza appassionata: qui il Perrotta è esoterico. Non per tutti quindi, ma per chi desidera sapere e capire, per chi non arretra dinanzi alle difficoltà dei problemi, dell’ignoto del nuovo e del presente-futuro.
Perrotta ama Eraclito e il discorso ellittico dei grandi mistici e dei profeti.
In lui tra interno/esterno, (esotericità/essotericità) non sussiste opposizione, tanto meno contraddittorietà; interno-esterno sono il recto-verso della persona Perrotta, uomo-sapiente che si tengono in una sola figura; sono unità, una inscindibilità sentita solo da chi è attento e non superficiale. Ecco l’autentico Raffaele Perrotta.
Il suo scrivere è stato ed è l’incessante procedere della sua intelligente ricerca di come stanno veramente le cose su questa terra non dimenticandosi di un rapporto più ampio, più universale. Tutto parte dall’Io trasformatosi dai magmi dell’Ego, Io non più egotico ma personale che dalle esperienze vissute astrae quello che è utile alla ricerca stessa e al proprio “ampliamento”, alla propria consistenza che lega in se stesso e a se stesso l’altrui. L’ampliamento dell’Io ingloba ogni Tu, ogni altro perché l’astrazione è concreta e riguarda il fondamento comune di ogni essere umano. Ricostruito integro il proprio Io, Perrotta lo attraversa e lo ripercorre come uno scanner per affinarlo, ripulirlo di ogni possibile scoria, opera che si traduce in opera di parola, composta distensione e organizzazione di parole: la parola contenente le parole. Il superamento della molteplicità.
Allora l’opera di Perrotta è opera di unicità, di risoluzione del problema centrale di senso e di significato che si affacci alla mente e alla intelligenza dell’uomo e del sapiente. Prima si ricompone l’uomo e secondo il dono trovato, i talenti posseduti dai geni, si esprime il contenuto e il contenete il significato e il significante contemporaneamente, sapendo l’artificiosità della lingua come della sua ineluttabilità per poter giungere al nocciolo dell’atomo-vita, per andare a vedere come si svolge questa vita tra simboli allegorie metonimie, rituali e miti ricostruiti secondo l’evoluzione dei tempi, dello spaziotempo.
Le opere di Perrotta sono lo svolgimento di un libro che a noi appare come libri, sono l’unitaria visione di visioni collocate sullo stesso piano, sulla medesima linea di orizzonte dove il passato e il futuro sono compresenti nel presente; dove tutte le parole che desiderano significare le esperienze del cuore-della mente sono presentate in una singola e singolare posizione, dove lo scenario è sempre l’oltreorizzonte, l’aperto infinito sul quale muovono le figure-parola che affiorano all’anima meditante.
Non sappiamo quanto è stato donato al Perrotta di visioni che rimanderà a noi attraverso il gioco convesso dei segni-parola, sappiamo certo che il suo libro equivale per valore storico e metastorico alle Confessionidi Agostino, sono un libro per i momenti solitari, quando si necessita di energia nuova, di maggiore energia per affrontare il proprio viaggiare tra la vita le vite. Per poi sostenere  gli affronti e le bruttezze di parte dell’universocosmo.
Confessioni  laiche dirà qualcuno, ma se il discorso del Perrotta non è, come pensiamo e crediamo seguendo Duchamp, catechistico ma poeticocreativo, allora sono confessioni di un artistapoeta, quindi non laiche né tantomeno sacre, ma opera attinente alla dimensione “divina”, a quella che una volta sapevamo che cosa fosse e di cui partecipavamo e che abbiamo perso, ma che attraverso l’immersione nell’opera e il distaccarsene possessivo, ci conduce alla Bellezza (includente il bello storico) alla soddisfazione del nostro desiderio di Eterno.
 Nell’opera d’’artepoesia di Raffaele Perrotta il desiderio il reale-utopico la Bellezza sono soddisfatti dalle cifre e dai simbolismi della parola nella lucida selva di parole, ci spingono a migliore ricerca, ci meravigliano come la visione della prima luminosa stella.
 by Ettore Bonesio di Terzet

 Raffaele Perrotta, Attraverso la cruna di un ago, Roma, Aracne, 2013,  e non solo


DNA il nuovo giocattolo a molla di Ignazio Apolloni│Franca Alaimo

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…la scienza potrà manipolare il DNA per renderlo più adatto alla convivenza civile con valori morali che traggano origine dall’etica aristotelica fino  a quella hegeliana rifiutando qualsiasi influenza o ingerenza di carattere metafisico o teologico:  così  viene esposta a pagina 61 del romanzo DNA[i]l’idea  per la quale si batte il protagonista Gustav von Clausewitz, forgiato dall’autore Ignazio Apolloni a sua immagine e somiglianza; al punto che, attraverso la vita e la tempra intellettuale del personaggio, è possibile conoscere quelle dello stesso autore, che, nato in un ambiente provinciale,  ma apertosi alla variegata scena culturale del mondo attraverso l’amore per i viaggi e l’arte,  ad un certo punto della propria esistenza, si converte agli studi scientifici e se ne lascia coinvolgere in modo quasi ossessivo, scoprendo quali meraviglie per la società umana potrebbero scaturire dallo studio del DNA e da una sua successiva manipolazione per estirpare la radice del male da ogni uomo.
Rimando a dopo le molte riflessioni che una tale tesi comporta per passare, invece, a qualche considerazione di natura letteraria, visto che di un libro si parla e, quindi, di una forma di scrittura. Apolloni ci ha abituato alla disobbedienza ai generi letterari e non poteva smentire se stesso neanche questa volta: infatti, si fa fatica a considerare questo suo ultimo lavoro un romanzo:  manca un vero e proprio plot,  gli altri personaggi sono del tutto secondari allo svolgimento dell’idea che muove il protagonista e sembrano piuttosto concretizzare narrativamente  l’urto fra il vecchio e il nuovo Gustav. Che cosa ha, dunque, tra le mani il lettore? Azzardo una definizione: un saggio romanzato. E  ipotizzo perfino che  con esso l’autore abbia inteso portare avanti, secondo un diverso progetto di scrittura,  l’enorme lavoro saggistico dell’intellettuale siciliana Vira Fabra,  musa e compagna di Apolloni, raccolto  nell’opera postuma: “Cartesio un filosofo da amare”. Fatto sta che  Vira come Ignazio hanno posto al centro del loro laboratorio mentale l’ottimismo della ragione, la prima rendendo omaggio al filosofo Cartesio ed ai suoi seguaci, il secondo, oltre che ai filosofi della ratio, agli scienziati che attraverso lo studio del DNA aprono prospettive dalla portata inimmaginabile per il futuro della razza umana.
Ad un certo punto del romanzo, però, Gustav cede quasi del tutto posto allo scrittore Ignazio Apolloni, che si chiede dopo il suo grande entusiasmo per la  “conversione scientifica” da che parte debba stare, e cioè se incorporare l’una o l’altra delle tendenze estetiche rappresentate da quelle opere in cui si stanno posando i suoi occhi e la sua mente, senza tuttavia trascurare quella spinta emotiva – più che razionale – che l’ha indotto ad occuparsi di scienza; di quella parte della scienza che ha per obiettivo una migliore qualità dell’uomo del futuro. Infatti, Ignazio non può rinnegare la sua vocazione alla scrittura e certamente la risposta concreta ad un dubbio di tale portata è proprio questo romanzo, o, meglio, come già l’ho definito, saggio romanzato. E, inoltre, proprio questa sua ennesima invenzione letteraria potrebbe rappresentare l’aspirazione ad una nuova figura d’intellettuale a tutto tondo, che non dovrebbe escludere nessuna branca del sapere dai suoi interessi per una sorta di Futuro Rinascimento dell’Uomo.
Gustav, da tanto tempo immerso in una pigra esistenza borghese,  finisce, infatti, con l’aprirsi al piacere estetico delle arti ( specialmente il cinema, l’arte figurativa, la musica), alla storia dei diversi popoli, alla geografia, alle scienze, come la medicina, l’astronomia, la sociologia. Ed Ignazio, nel suo riaffermare la vocazione alla scrittura, ribadisce il diritto ad un pensiero libero, onnivoro, autonomo, capace di rielaborare una nuova Etica, sganciata da ogni influenza metafisica e teologica,  ma fondata esclusivamente su un’idea laica, sociale, “genetica” del Bene.
Christina Aguilera 
festeggia 
il suo compleanno
travestendosi 
da Alex de Large 
di Arancia Meccanica
Ma, a questo punto, è difficile sottrarsi alle riflessioni personali. Ovviamente non mi appello alle mie  convinzioni religiose, perché comprendo benissimo che tale arma sarebbe non solo inefficace, ma del  tutto erronea a sostenere un dialogo alla pari con l’autore. Mi pongo solo, sotto il profilo laico, il problema della libertà come diritto dell’individuo ad una scelta. Immagino che Apolloni abbia visto un  “vecchio” film, che fa parte ormai del cinema cult, che è Arancia meccanica di Stanley Kubrick; in merito al quale il saggista Burgess scrisse che una creatura che può fare solo il bene o il male, ha l’apparenza di un bel frutto colorato e saporito, ma che interiormente è solo un giocattolo a molla, che può essere caricato da chiunque.  E così, stando all’utopia di questo romanzo, il giocattolo-uomo, invece di essere caricato dallo Stato o da Dio, in cui per sua libera e rispettabilissima scelta l’autore non crede, finirebbe con l’essere caricato dalla Scienza. E’ vero che il fine dell’operazione del DNA sarebbe buono ed utile, ma io provo un certo fastidio nell’immaginare una specie di castrazione obbligatoria universale, anche se oggetto di tale operazione sarebbe il male. Difendo il male per difendere il bene, difendo il male per difendere il libero arbitrio, difendo il male affinché l’uomo trovi da solo, per convinzione e non per castrazione, la via del bene sociale secondo un  libero percorso individuale.  E, inoltre, pur estirpando il male dall’uomo, non resterebbe il male degli elementi della Natura, degli animali  e delle cose stesse, spesso apportatrici di malattie e di morte?  Che ne faremo di tutto questo male, come lo debelleremo? Mi trova d’accordo Ignazio, però, in un intervento mirato soltanto ad eliminare le malattie scritte nel DNA, poiché esse davvero ostacolano la libera crescita dell’uomo e il suo naturale diritto alla felicità. 
Il dna del gaudio non è pigmeo ? E tuttavia come negare in toto l’utopia di Ignazio se la nutro anch’io, ma sognandone un’altra via di realizzazione? Caro Ignazio, hai fatto bene a  concludere il romanzo con la curiosa e spesso esilarante storia dei Pigmei, dove ritrovo tutto il tuo humour, il gusto dell’invenzione lessicale, lo sfasamento spazio-temporale e la fantasia, così che, leggendolo, mi sono dimenticata di Gustav. Però mi sono chiesta: che diavolo ci sta fare questa storia alla fine del tuo libro? Che cosa vuoi dire al lettore? Che gli uomini sarebbero rimasti dei pigmei senza l’apporto della scienza?  Oppure la tesi opposta, che sembra deducibile da qualche passo, che in fondo gli uomini erano più felici quando vivevano in uno stato primitivo? O, ancora, che siamo ancora tutti dei pigmei di fronte al mistero di un universo in continua espansione, di fronte all’incredibile mutamento dell’umanità promesso dalla Scienza? A me, te lo confesso, è piaciuto vedere crescere questi pigmei centimetro dopo centimetro, lottando, commettendo e subendo male, facendo e ricevendo bene, ingegnandosi, inventando, cambiando,  del tutto liberi di agire, persuasi della necessità d’ogni cosa: dai babbuini alle foto scattate loro ante-litteram. Che poi ci sia anche una stoccata al potere, di questo, sì, mi sono avveduta. Ed ho pensato anche che, se mutasse il modo di esercitare il potere politico, la società già starebbe meglio e sarebbe più buona.
by Franca Alaimo 

Mia Nonna dello Zen ▐ Lais Ribeiro non è V.S.Gaudio

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Lais Riberio in "Perfect 10" photographed by Mario Sorrenti and syled by Edward Enninful for W Magazine
Lais Ribeiro
Age: 24
Height: 5’11”
Measurements: 31”-23”-33”
Instagram followers: 93,300
Twitter followers: 21,100
Victoria’s Secret 
shows walked: 3
Number of runway 
shows she walked in 2011 for Rio and São Paulo Fashion Weeks: 53
░ Lais Ribeiro non ha i numeri di V.S. Gaudio                             

Mia Nonna dello Zen ha appurato che V.S.Gaudio non è Lais Ribeiro, non vi è alcun dubbio, pensava che mi fossi travestito e, così, stanco di questa monotona vita ammollo nel pantano di Villapiana, fattomi Lais Ribeiro, un bel pezzo di gnocca alto quanto V.S.Gaudio, cinque piedi e 11 pollici, con il trittico 31”.23”.33”, roba da longilinea ectomorfa che, come fa un passo, tu t’arrampichi al tuo meridiano e soffiando a più riprese nel tuo oggetto “a” lo ingravidi all’istante manco l’immacolata concezione! Quello che ha fatto capire tutto a Mia Nonna è stato che V.S.Gaudio, alla voce: “Instagram Followers: 93,300” per Lais, lui ha 0,000; alla voce “Twitter Followers: 21,100” per Lais, lui ha ancora 0,000; ma la saggia Mia Nonna dello Zen, o è semplicemente scaltra?,  ha capito l’antifona e la verità l’ha, come dire?, fulminata, quando, a proposito di “walked”, c’erano le 53 weeks di Lais a Rio e a SãoPaulo nel 2011: “Ma quando mai? V.S.  nel 2011 ha fatto la passeggiata di mezzogiorno per 52 weeks sulla ex statale 106 d’Italia, in agro di Villapiana!”Un piccolo dubbio sussisteva, però: quel che turbò Mia Nonna dello Zen fu  il fatto che “Victoria’s Secret shows walked: 3” potesse essere davvero vero anche per V.S., non solo perché l’acronimo di  “Victoria’s Secret” è “V.S.”, ma anche per via del 3, che è il numero degli scalzacani con le bisacce, e quindi gli shows walked ci starebbero, e il segreto di Vittoria, che era sua suocera, anche quello, ci stava tutto. Solo che, quando la saggia donna riuscì a capire finalmente che si trattava di mutande, beh, allora, sciolse ogni dubbio: “No. V.S. non ha mai passeggiato a mezzogiorno su una strada nazionale in mutande; quindi, non c’è dubbio, Lais Ribeiro non è V.S. Gaudio!”

 Il poeta ha altri numeri…

Mia Nonna dello Zen ha in effetti dimenticato le misure; ma, la pia donna come avrebbe potuto comparare le mie misure con quelle di Lais, dico la mia misura, quella che demarca la differenza di genere; comunque, la preciso io: i pollici dell’altezza, bastano a risolvere il caso. Così lei passeggia a Rio e a São Paulo e io continuo a menare il mio oggetto “a” lungo l’asse del mezzo cielo, le juste milieu, dicono i francesi, ma qui chi li capisce i francesi?


Spumante Gaudio ░

░ Cortese Gaudio

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