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V.S. Gaudio ░ Lo schema verbale segreto e le mani di Ilary Tiralongo.

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Il segreto della massa mite delle mani.
La nuova Ilary Tiralongo


Le mani, mi disse Blue Amorosi, quella mattina, hai visto le mani della tua giovane poetessa di Avola? E venne così lo schema verbale del “disperdersi”, come nella danza della pioggia degli indiani Pueblo, che è una massa mite, scrisse Elias Canetti, “composta non da animali pericolosi da uccidere, né da nemici pieni d’odio da combattere. E’ una massa identificata con quella degli antenati, pacifica e benevola”[i].
Ovunque sia la vostra sede durevole,
di là vi metterete in viaggio,
le vostre piccole nuvole sospinte dal vento,
le vostre sottili strisce di nuvole,
le riempirete di acque vitali.
La manderete a noi, perché resti con noi,
la vostra bella pioggia, che accarezza la terra,
qui a Itiwana, e lì a Avola
sede dei nostri padri,
delle nostre madri,
di coloro che vissero prima di noi.
Con le vostre acque senza fine
giungerete finalmente.[ii]
La massa mite della danza per la pioggia è una massa identificata con quella degli antenati, fosse pure il Re di Maggio o la Regina, anche perché con questo nutrimento gli uomini divengono forti e le donne feconde. La parola “bambini” ricorre spesso nelle preghiere degli indiani Pueblo e qui nei testi di Ilary Tiralongo[iii]. Il sacerdote dei Pueblo parlava di tutti i membri viventi della tribù come di bambini, ma si riferisce anche a tutti i ragazzi e le ragazze, a tutti coloro che hanno la vita ancora dinanzi a sé. Anche per l’altra massa, che è quella del mais. E quella della Milpa. Così, le masse essenziali nella poesia, in questo estratto da Autoluminescenze, della nuova Tiralongo[iv] potrebbero essere, come per i Pueblos, gli antenati e i bambini, la pioggia[v] e il mais, o, forse, la luce, anche perché, con l’acqua, isolerebbe di più il lamento del dolore. E il silenzio, per via del segreto, che, le ho guardate le mani di quella ragazza di Avola[vi], rende ostile e profonda la pazienza delle mani. In una email, un giorno dissi a quella di Avola che quel giorno avevo inforcato gli stivali di gomma e me ne ero andato a fare il flâneur, tra bosco e spiaggia di pietre, sotto l’acqua, che, come dice Elias Canetti, quando è quella della pioggia non possiede la costanza del mare, e quindi la pazienza delle mani, ma quel giorno la pioggia era inesauribile come il mare. La pioggia, come massa, simboleggia il dissolvimento, e le nuvole stavano sulla mia testa, mica sulla tua, avrei voluto dire alla ragazza di Avola, che se ne stava lontano, a dir suo, sul mare, di internet e di Google, ma alla ragazza davo del lei, perché lei era nella massa del fiume, che è simbolo, forse, di processioni e delle dimostrazioni nelle grandi città. Il fiume, mi fa impazzire a volte, quando ritorna, Elias Canetti: “il fiume è la massa nella sua vanità, la massa che presenta se stessa. (…)Senza sponde non può esservi fiume.(…)Il fiume ha una pelle che vuole essere vista”[vii]. Come la pelle delle mani della ragazza di Avola: tutte le forme simili al fiume, dissi a Blue, come le processioni, le dimostrazioni urbane e le mani, mettono in mostra la massima parte possibile della loro superficie: esse si tendono fino all’estremo e offrono la loro vista al maggior numero possibile di osservatori. Capirai, adesso, che le mani, così esposte, diffuse in rete, vogliono essere ammirate o temute[viii]. “Temute?” mi fece perplesso Blue: “Perché mai?” Non è per la meta immediata, è l’ampiezza della distanza, è come la lunghezza delle strade, e di Internet, e della Milpa, e di ogni luogo, la mano, mi chiesi e chiesi a Blue: è, come il fiume, il simbolo della massa lenta? Per via della pazienza, e perché una mano lascia andare il ramo che stringeva mentre l’altra mano afferra il nuovo ramo. Questo forse vedevo, tra versi e mani fotografate: il ramo che si spezza, o la penna che non scrive, e nasce il bastone. Con questo si tengono lontani i nemici: è usato per colpire, appuntito diventa una freccia, e si trasforma in saetta. La rapidità delle azioni, gli schemi verbali, che non sono molti in questi testi tratti da Autoluminescenze, connessa all’afferrare con intenzioni ostili, come il picchiare, il pungere, il colpire, il lanciare e il gettare, è tutta nel regime  diurno, quello dei principi di esclusione e della dominante di Posizione, di Gilbert Durand[ix]; ma il significato, l’intenzione che compie o potrebbe compiere è quella del passato, che, come tempo, è quello delle strutture Mistiche, e del regime notturno[x]. Le temo per questo: per la quiete apparente, hai visto come adesso nella sua poesia non c’è schema verbale?, come se la pazienza infinita svelasse o incartasse il silenzio, il silenzio presuppone una precisa conoscenza di ciò che si tace, e ciò che è taciuto è ciò che si conosce meglio, con maggiore precisione, e che si reputa prezioso. Il silenzio non solo difende il segreto, ma lo concentra. Ecco: tra le mani  e questi suoi testi, sembra che lei stia vedendo a fondo, o abbia questa capacità, ma è come se fosse in agguato: si nasconde o si mimetizza, restando immobile per non farsi scoprire, anzi scompare completamente, si avvolge del segreto come di una nuova pelle, che, poi, è la pelle delle sue mani: poi, le sarà capitato quante volte?, quando perde la pazienza(la pazienza delle sue mani), un attimo troppo presto, l’agguato non è valso a nulla e, delusa?, ricomincia da capo? L’azione dell’afferrare, questo è lo schema verbale archetipo di questa nuova modalità stilistica di Ilary Tiralongo, che è nel paradigma del segreto attivo, deliberatamente creato per poter spiare, sembra che si compia all’interno del corpo, è questo il segreto più profondo. Lo schema verbale dell’afferraree il sostantivo-archetipo della mano  è l’equipaggiamento di base di questa poesia geografica:
Ovunque sia la sua sede durevole,
di là si metterà in viaggio,
le sue piccole nuvole sospinte dal vento,
le sue sottili strisce di nuvole,
le riempirà di acque vitali.
La manderà a noi, perché resti con noi,
la sua bella pioggia, che accarezza la terra,
qui a Itiwana, e lì a Avola
sede dei nostri e dei suoi padri,
delle nostre e delle sue madri,
di coloro che vissero prima di noi.
Con le sue acque senza fine
giungerà finalmente.



[i] Elias Canetti, La danza della pioggia degli indiani Pueblo, in: Idem, Massa e Potere, Masse und  Macht, ©1960; trad.it. Adelphi edizioni Spa, Milano 1981.
[ii] Ivi.
[iv] Ilary Tiralongo è una poetessa del fondo “Lunarionuovo” di Mario Grasso: come tale, ha pubblicato, presso Prova d’Autore di Nives Levan & C., Catania, nel 2014, penso che l’anno fosse quello, Malerba a gocce.
[v] Cfr. il simbolo di massa: Pioggia, in: Elias Canetti, Massa e Potere, trad.it. cit.
[vi] La foto con le mani di Ilary Tiralongo è riportata dall’account Facebook di “Lunarionuovo” ed è localizzabile nell’ambito di una presentazione di Malerba a gocce della giovane poetessa di Avola.
[vii] Elias Canetti, Il fiume, che è compreso nei simboli di massa, in: Idem, Massa e Potere, trad.it. cit.
[viii] Cfr. La mano, compresa tra gli organi del Potere, in: Elias Canetti, ibidem.
[ix] Cfr. Gilbert Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, © 1963, trad.it. Dedalo, Bari 1972. Ed è incredibile come la dominante di Posizione, nel regime diurno e delle strutture schizomorfe, o eroiche che si voglia dire, abbia in sé i suoi derivati manuali e la cooperazione a distanza(vista, audiofonazione) che c’è nell’Esserci di quella ragazza, che è nel simbolo di massa del Fiume, ma che non c’è tra quella ragazza di Avola e il critico, che non può vedere, né sentire, né ascoltare, e d’altronde la ragazza stessa, a mezzo della interazione elettronica, innesca il tacere per via dei segreti che come lapioggia, in quel punto temporale, si sono manifestati con lo schema verbale del “disperdersi”.
[x] D’altronde, tra ritornaree verificare, indietro, non apparve, forse, un giorno, nella nostra interazione epistolare, l’androgino, come archetipo-sostantivo? Nel regime Notturno, Gilbert Durand lo tiene tra la luna e il l’albero, tra la ruota e la madre; i sintèmi possibili e probabili che, forse, negli altri testi di questa raccolta che, poi, contrariamente a quanto affermato, la Tiralongo non ci ha mandato più, compariranno, saranno tra le gemme, la coppa, il ventre e la culla, l’isola, per non parlare della barca, che sta sul cazzo al critico, come il mare, se vogliamo, e Ilary Tiralongo espresse, all’affermazione del poeta saraceno(“Odio la natura, un po’ come Witold Gombrowicz, e il mare”), dubbi e perplessità. Maybe. O, forse,  May-be. Gli sussurrò all’orecchio a mezzogiorno, manco fosse il suo demone meridiano.

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